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Almeno di primo acchito, l’impatto dell’intervento del legislatore delegato si presenta imponente rispetto ad un ordinamento giuridico nel quale è tuttora vigente il principio di obbligatorietà dell’azione penale che consente a chiunque ritenga leso un proprio bene giuridico protetto dalla norma penale di poter attivare il potere punitivo da parte dello Stato mediante la presentazione di una semplice denuncia, e dunque senza alcun costo immediato potendo, nel caso di eventuale assunzione positiva delle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale, decidere successivamente se costituirsi quale parte civile nel processo penale così instaurato al fine di conseguire il risarcimento dei danni in caso di condanna del presunto autore del reato.
Non sfugge come, tale sistema, di fatto ha dato luogo, stante l’immanenza del principio di obbligatorietà dell’azione penale, all’avvio di indagini di polizia giudiziaria per lo svolgimento di un controllo di legalità rispetto a fattispecie di reato che tuttavia presentano spesso un livello di allarme sociale assai ridotto.
Si deve tuttavia incidentalmente sottolineare come - proprio in ragione della spesso limitata disponibilità delle risorse investigative e quindi anche dell’evidente differenza di allarme sociale esistente rispetto alle molteplici fattispecie di reato portate all’attenzione dell’autorità giudiziaria - di fatto l’attività investigativa delle Procure si sia concentrata su alcune piuttosto che su altre ipotesi di reato (si pensi al fatto che per molti reati non vengano nemmeno avviate le relative indagini) con ciò svuotando di fatto il principio di obbligatorietà dell’azione penale seppure sancito nella nostra Costituzione.
Ora con i Decreti Legislativi di depenalizzazione, diverse fattispecie di reato non costituiscono più norme incriminatrici, con la conseguenza che saranno da un lato il giudice civile a doversi fare carico del contenzioso di natura risarcitoria che prenderà avvio e, dall’altro l’autorità amministrativa a dare corso ai relativi procedimenti finalizzati all’irrogazione delle sanzioni amministrative corrispondenti.
Quindi se la c.d. “depenalizzazione” potrebbe apparire funzionale all’esigenza di ridurre il carico di lavoro dei Tribunali penali, dall’altro non può sfuggire il fatto che le ricadute derivanti dalla depenalizzazione verrebbero a riverberarsi sia sulla giurisdizione civile in conseguenza delle cause risarcitorie promosse sia sull’autorità amministrativa per effetti dei conseguenti procedimenti che quest’ultima sarà chiamata ad avviare per la comminazione delle relative sanzioni.
Senza sottacere, peraltro, il fatto che anche l’accesso alla giurisdizione civile è diventato nel corso degli ultimi anni assai costoso, per effetto del continuo e progressivo incremento degli oneri immediati di avvio delle controversie civili, oneri la cui entità rischia di correlare la fruizione del servizio/giustizia ad una disponibilità economica adeguata, con l’evidente rischio di privare di adeguata tutela risarcitoria coloro che, pur non rientrando magari nei parametri di accesso al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato, non siano comunque nelle condizioni di potersi permettere l’esborso di spese significative per l’avvio delle relative cause civili.
L’avvio di una causa civile avente natura risarcitoria e la conseguente irrogazione da parte del giudice civile che riconosca il diritto al risarcimento del danno, della sanzione pecuniaria prevista dalla legge per quel fatto, implicano inoltre l’esistenza di una sorta di “concorrenzialità” tra il credito risarcitorio riconosciuto dal giudice civile al danneggiato e l’obbligo per il danneggiante di versare all’autorità amministrativa una talora rilevante somma a titolo di sanzione pecuniaria: in quale misura potrà essere soddisfatta la pretesa risarcitoria riconosciuta al danneggiato, in presenza di un onere del danneggiante di versare allo Stato anche gli importi delle sanzioni pecuniarie.