L'acquisto di azioni della banca come condizione per l'erogazione di un mutuo: una pratica s
La pratica commerciale seguita dal alcuni istituti bancari italiani, nella fattispecie alcune banche popolari, che subordinavano l’erogazione alla clientela di mutui, finanziamenti o affidamenti sul conto corrente a condizione che il cliente acquistasse azioni dell’istituto di credito.
La pratica era stata già stigmatizzata dalla giurisprudenza della Suprema Corte[1] che aveva affermato la legittimazione a far valere la nullità delle operazioni di acquisto azioni con finanziamenti o garanzia prestati dall’emittente in capo ad ogni socio, esprimendosi con un calzante esempio: “Si ipotizzi una società in cui il patrimonio netto – pari, per semplificare, al capitale – è 100. Il socio titolare del 50% delle azioni possiede, dunque, un valore di 50. Nel caso di aumento del capitale di altri 100, se il corrispondente apporto dei nuovi soci è affettivo egli non subisce alcun pregiudizio, perché la sua partecipazione, pur riducendosi proporzionalmente al 25% del capitale, conserva il suo valore, che resta 50 dovendosi calcolare sul nuovo patrimonio di 200. Ma se l’apporto dei nuovi soci è fittizio, e dunque il patrimonio rimane sostanzialmente invariato (dunque 100), la riduzione proporzionale della quota al 25% del capitale comporta anche la riduzione del valore della stessa, che non è più 50, ma 25, e la differenza di valore viene gratuitamente acquistata dai nuovi soci”.
Il tema è stato quindi affrontato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con due distinte decisioni che involgevano dapprima la Banca Popolare di Vicenza[2] e, recentemente, Veneto Banca[3]: in entrambi i casi i consumatori sono stati condizionati al fine di ottenere finanziamenti o mutui, ad acquistare pacchetti minimi di azioni della banca, ad acquistare azioni od obbligazioni convertibili con lo scopo di collocare i medesimi presso i consumatori).
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a conclusione dell’istruttoria, ha affermato che “La pratica commerciale in oggetto risulta scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21 comma 3 bis, 24 e 25 del Codice del Consumo in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio in relazione ai prodotti di finanziamento offerti dalla banca”. Infatti, la Banca subordinando l’erogazione dei finanziamenti richiesti dai consumatori alla sottoscrizione da parte dei medesimi di propri titoli “ha esercitato un indebito condizionamento nei loro confronti…si deve poi considerare la situazione di forte asimmetria tra la posizione della banca concedente il finanziamento e quella potenzialmente debole e vulnerabile del cliente/consumatore istante, dovuta alle proprie condizioni economiche”
Da ciò l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato inferiva la non conformità del comportamento della Banca rispetto agli artt. 20 comma 2, 21 comma 3 bis, 24 e 25 del Codice del Consumo anche in relazione all’intervallo di tempo per la rilevazione della contestualità della sottoscrizione dei finanziamenti con l’acquisto di titoli (6 mesi prima o 6 mesi dopo la data di accensione del finanziamento).
Conclude l’Autorità affermando che “La Banca subordinando l’erogazione dei mutui richiesti dai consumatori alla sottoscrizione da parte dei medesimi di propri titoli ha esercitato un indebito condizionamento nei loro confronti con l’acquisto titoli peraltro difficilmente negoziabili e liquidabili e che nel corso del finanziamento non potevano essere disinvestiti. Si deve poi considerare la situazione di forte asimmetria tra la posizione della Banca concedente il finanziamento e quella potenzialmente debole e vulnerabile del cliente/consumatore, dovuta alle proprie condizioni economiche”. Conclude l’Autorità affermando che “in base all’art. 20 comma 2 del Codice del Consumo la pratica commerciale in oggetto contrasta con la diligenza professionale che può legittimamente attendersi da un operatore nel settore bancario ed è idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio”.
Nel disporre l’applicazione a ciascuna delle due banche di una sanzione rispettivamente di 4,5 e 5 milioni di euro, l’Autorità concludeva affermando come in base all’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo tale pratica commerciale non fosse conforme alla diligenza professionale che ci si può legittimamente attendersi da un operatore nel settore bancario. In particolare, ad avviso dell’Autorità, è da evidenziare come non si sia riscontrato da parte delle due banche, il normale grado di correttezza, competenza e attenzione che ci si poteva ragionevolmente attendere, tenuto conto delle caratteristiche dell’attività svolta e del fatto che esse rappresentano un operatore importante nel contesto bancario italiano. Quanto, specificamente, alla posizione di Veneto Banca, l’Autorità ha osservato come la condotta dell’istituto di credito fosse a maggior ragione stigmatizzabile dal momento che le pratiche commerciali in oggetto erano state poste in essere nel 2014 quando il sistema bancario era già a conoscenza del fatto che di lì a poco sarebbe entrata in vigore (2 luglio 2014) la direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), la c.d. direttiva bail-in, il cui termine di recepimento è stato fissato al 31 dicembre 2014 e in base alla quale gli Stati membri dovevano applicare le disposizioni di recepimento a decorrere dal 1° gennaio 2015, ad eccezione delle disposizioni relative ad alcune procedure (tra cui il bail-in stesso) che dovevano essere applicate non più tardi del 1° gennaio 2016. Proprio nel corso del 2014 Veneto Banca poneva in essere le varie fasi decisionali e procedurali per pervenire all’aumento di capitale effettuato in tale anno.
La direttiva prevedeva che nelle situazioni di banche in dissesto o a rischio di dissesto, quando le medesime avevano azzerato o ridotto in modo significativo il proprio capitale, anche i consumatori, detentori di azioni, obbligazioni subordinate e/o ordinarie, depositi delle stesse, avrebbero “partecipato” alla risoluzione della crisi direttamente con il proprio patrimonio. Pertanto, la Banca, ponendo in essere questa forte spinta commerciale al collocamento di propri titoli presso la clientela-consumatori, attraverso la concessione di finanziamenti, ha messo questi sottoscrittori a rischio di dover partecipare con il loro patrimonio azionario al ripiano delle perdite conseguenti a possibili crisi della medesima.
[1] Cassazione n. 25005 del 24.11.2006
[2] Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Provvedimento del 6 Settembre 2016
[3] Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Provvedimento del 24 Maggio 2017